Se le pareti dei macelli fossero di vetro, tutti sarebbero vegetariani...

venerdì 25 ottobre 2019

INDAGINE SOTTO COPERTURA. Immagini SHOCK sulla produzione di uova. VIOLENZA INAUDITA sulle Galline in gabbia



VIOLENZE SULLE GALLINE IN GABBIA.

Un investigatore di Essere Animali ha lavorato sotto copertura in un mega allevamento di 56.000 galline fornitore del gruppo Eurovo, la multinazionale italiana leader europea nella produzione di uova.
Sono vendute con il marchio Naturelle ma, a dispetto del nome, le uova prodotte da questo allevamento provengono da galline maltrattate, scaraventate da una gabbia all’altra e, se malate, uccise con bastonate che le lasciano agonizzanti per decine di minuti.
COSA ABBIAMO DOCUMENTATO
MALTRATTAMENTI
In questo allevamento le galline vengono afferrate brutalmente e lanciate nelle gabbie. Un trattamento che può causare lesioni, fratture ossee e persino la morte.
LENTA AGONIA
Dopo una sbrigativa diagnosi, le galline ferite sono gettate ancora vive in cumuli di cadaveri o uccise a bastonate. La legge consente l’abbattimento d’emergenza di un animale malato, ma deve essere effettuato da persone con un’adeguata formazione, in modo da non causare agli animali sofferenze evitabili. Le immagini ottenute con una telecamera nascosta mostrano galline che muoiono dopo lunghi minuti di agonia.
SOFFERENZA INTERMINABILE
Oltre la metà delle uova prodotte in Italia proviene ancora da allevamenti in gabbia. Le condizioni sono così anguste che le galline vengono mutilate del becco, per evitare che si uccidano fra loro per lo stress. La mancanza di luce naturale e lo sfregamento continuo con la gabbia causano anemia, perdita delle piume e problemi alle articolazioni. Ogni giorno decine di galline non sopravvivono e muoiono all’interno dell’allevamento.
LA TESTIMONIANZA
Morte nei loro escrementi, intrappolate nei nastri trasportatori o come dice il veterinario, di crepacuore. I colli nudi, graffiati dal ferro delle sbarre che ferisce e porta via le penne ogni volta che si affacciano per mangiare o respirare. Il dolore, le voci di chi chiede libertà e a cui nessuno risponde, mi sono entrate nella testa. Riguardo senza volume le immagini che ho raccolto perché quelle voci mi fanno agitare come se fossi ancora lì dentro.
Marco il nostro investigatore.